Corporate Identity – IIa puntata
di Adriano Manzoni titolare della Leutman – Strategy Communication Consulting a.manzoni@leutman.ch

Da dove si comincia e come si costruisce nella pratica una “corporate identity”?
Nella prima puntata dell’articolo abbiamo cercato di spiegare il concetto di “corporate identity”, ora proveremo a “riempire” questo concetto di indicazioni concrete, di azioni, di materia.
Le linee guida che illustreremo però non devono essere prese per universali, e valevoli per tutte le imprese nello stesso identico modo. Proprio perché si parla di “sviluppare” un’identità, ogni singola azienda o società, così come ogni singola persona, ha e deve avere un percorso evolutivo di crescita e sviluppo proprio e totalmente individuale, tenendo ben presente che oggi è sempre più importante, per qualsiasi azienda, aprirsi e sfruttare le opportunità che derivano da un percorso o da un progetto di “Internal branding”, parte rilevante in fase costruttiva della “corporate identity”.
Di seguito indichiamo un percorso e delle logiche che dovrebbero essere seguite con ordine ma al tempo stesso adattate di volta in volta alle singole esigenze.
Da dove si parte? Sempre dal cuore dell’azienda, parlando, anzi facendo parlare il più possibile la “proprietà”, sia essa di origine patronale o societario.
Se l’azienda non è di nuova fondazione è indispensabile conoscere e capire tutta la sua storia dalla nascita, scoprire quali sono stati i momenti evolutivi fondamentali, chi ne era alla guida in quel momento e con che spirito, con quali logiche e con quale filosofia si è sviluppata l’attività; come sono stati superati i momenti difficili e come si sono manifestati internamente ed esternamente all’azienda.
Solo partendo da questo racconto, dai dati e dalle caratteristiche emerse, potremo farci un’idea dell’imprintig da cui è sorta e si è sviluppata l’azienda, per poi amplificarlo, in caso positivo, sia mediaticamente che strutturalmente o, in caso negativo, cercando le soluzioni e le condizioni migliori per una sua riqualifica.
Dopo la “proprietà” vanno ascoltati i manager, i quadri, gli impiegati, gli addetti alla produzione, tutti, per portare alla luce gli elementi della vita aziendale quali la cultura, la mission, la vision, gli obiettivi, le strategie, la struttura organizzativa, le strutture fisiche, i canali distributivi, e non ultimo il sistema di comunicazione con il quale l’azienda è abituata a sviluppare, diffondere e promuovere i suddetti elementi.
La “corporate identity” è qualcosa di molto di più profondo e diverso rispetto ad una “semplice” corporate image o di una corporate brand, essa è in relazione principalmente con la filosofia, con il sentire, con la cultura imprenditoriale e con il “sentire” sociale, di chi guida, opera e fa il business dell’azienda.
Individuati, questi fondamenti, essi dovranno essere evidenziati prima di tutto all’interno dell’aziendale, coinvolgendo tutti i collaboratori, manager, commerciali, fornitori, ecc. rendendoli partecipi degli stessi valori e degli stessi obiettivi; non dimentichiamoci che queste persone sono i primi divulgatori dell’azienda che comunicheranno all’esterno, parlandone bene solo se ben integrati e soddisfatti del rapporto con essa.
Le iniziative da intraprendere per raggiungere questo obiettivo variano da caso a caso, ma è il concetto di fondo che deve essere preso in considerazione.
Solo in un secondo momento l’azienda può operare per diffondere e affermare la propria “identità” a tutti gli stakeholder (ovvero i portatori d’interesse verso le varie attività aziendali), mercato compreso.
Se non si riesce a trovare questi “valori” fondamentali e caratteristici dell’azienda difficilmente potrà mai nascere una vera e consolidata “corporate identity” ad essa collegata.
Un’impresa può sopravvivere sul mercato senza una sua ben identificata “corporate identity”?
Strategicamente è poco efficace, tecnicamente è possibile se si immagina di sostituirla man mano da varie e ben realizzate immagini coordinate o da linee di prodotto brandizzate che potrebbero trovare di volta in volta spazio e mercato. Si tratta però di una soluzione provvisoria che non permette all’azienda di avvalersi di un “concetto” forte e ben consolidato su cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà, commerciale o d’immagine.
Portiamo un esempio semplice e ben riconoscibile di un’azienda che ha costruito il proprio mercato, il proprio “benessere” investendo in maniera paritaria sia sul proprio prodotto, sullo sviluppo tecnologico delle proprie strutture manifatturiere e logistiche, sulla propria immagine pubblicitaria, sia, se non soprattutto, sulla propria “identity”, andando a scoprire e sviluppare valori a lei congeniali, credendoci e portandoli avanti con coerenza, caparbietà e capacità manageriale: “Benetton”.
La filosofia e il modo di fare business di questa azienda, messo poi in pratica con azioni concrete e redditizie, è ben sintetizzata in una frase del Presidente di Benetton Group Alessandro Benetton:
In queste parole è racchiusa benissimo la “vision” che il Gruppo Benetton ha voluto promuovere: “un’azienda globalmente responsabile, dal punto di vista sociale, ambientale ed economico: è un impegno per le presenti e future generazioni, per crescere insieme alle comunità in cui l’azienda è presente, in Italia e in tutti i mercati in cui opera”.
Ogni parola di Alessandro Benetton e ogni parola della presentazione della “vision” del gruppo trovano riscontro in fatti reali di tutta la storia aziendale.
Benetton ha sempre abbinato sviluppo del prodotto, marketing, pubblicità, struttura commerciale, ecc. con una grande attenzione alle problematiche sociali, sia quelle “vicino casa” legate al territorio circostante la sede storica di Ponzano Veneto (Treviso), sia a quelle “globalizzate”.
Tutta l’attività Benetton è conforme (o per i più scettici è mediaticamente conforme) a un Codice Etico, partendo dal rispetto dei diritti del lavoro femminile e minorile a livello internazionale, fino alla sicurezza e salute delle persone e al rispetto dell’ambiente.
Facendo di questi valori parte integrale del proprio “prodotto” Benetton ha conquistato in circa cinquant’anni di attività il mercato globale dell’abbigliamento. Molto interessante a questo proposito è leggere il capitolo “impegno sociale” sul sito benetton.
A molti verranno subito in mente le campagne pubblicitarie Benetton, realizzate da Oliviero Toscani dalla metà degli anni ’80 fino al 2.000, dove le immagini, volutamente provocatorie, avevano l’intento di aprire dibattiti su temi sociali. In queste campagne il “prodotto” vero e proprio non appariva mai; “solo” il marchio era ben visibile per poter essere volutamente associato e identificato come promotore del tema rappresentato.
Ricordiamone solo alcune: il prete che abbraccia le suora, il cimitero di guerra durante la Guerra del Golfo, il neonato attaccato al cordone ombelicale, l’agonia del malato di Aids, ecc.
Con questa strategia di comunicazione Benetton non ha voluto solo “sfruttare” commercialmente un filone socio/culturale ma ha voluto proporsi come interprete di una nuova etica di fare business manifestando pubblicamente una propria “identità”, solida e ben delineata, che ha nelle campagne pubblicitarie solo la punta dell’iceberg di una “corporate identity” molto più profonda e consolidata.
Visiteremo nella terza parte dell’articolo quelle iniziative meno evidenti, rispetto ad una campagna pubblicitaria, come mostre, associazioni, eventi, partecipazioni ecc. che sono però alla base di una strategia di questo genere insieme a quei progetti più facili da visualizzare, quali l’immagine coordinata applicata al packaging di prodotto o agli shops, che insieme definiscono la “corporate identity”.
Continua nella IIIa puntata
di Adriano Manzoni titolare della Leutman – Strategy Communication Consulting
